Sal Rei, la città che straborda


Morada
. Era pure sull’autocertificazione della compagnia aerea, quella in cui dichiari di non aver il Covid, quella in cui segnali un numero di emergenza, quella in cui fornisci un indirizzo di destinazione. Morada, appunto.

Già, ma dove sarei stata, a Sal Rei, la città più grande di Boa Vista che gli isolani chiamano semplicemente Vila, città. Mi ero dimenticata di segnarmi un indirizzo, per poi scoprire che le vie non hanno un nome, salvo qualche rarissima eccezione. Certo, però, che di Tokyo c’è molto poco in comune, se non il fatto che anche qui i quartieri hanno il loro riconoscibilissimo nome: Santa Barbara, Estoril, Cabral.


Quattro anni fa, quando la vidi per la prima volta, Sal Rei mi diede l’impressione della città che sale, con quella forza costruttiva, creatrice, moderna di un quadro di Boccioni. Una piazza centrale fulcro di vita, di musica e partite di calcio, birra e pizzette, chiacchiere e incontri. E quei palazzi le cui basi comparivano un po’ più all’esterno, mentre alle spalle di Santa Isabel si conservavano due vie fuori dal tempo, così come il nucleo dei pescatori. E poi, lungo la spiaggia, ville e complessi residenziali che si affacciavano utilizzando una delle pietre locali, dello stesso color della sabbia, unita a colori della terra e del mare. Una direzione, rispetto alle più antiche case a un piano con tetto piatto e il cortile interno tipiche del continente africano, che comunque creava armonia. Pur con cani, panni stesi, salotti improvvisati e persino barche sui tetti!

Eppure, accanto a luoghi caratteristici come il porticciolo e la Praia Diante, la spiaggia più “cittadina” che c’è perché a due passi dalla piazza, il monumento di indipendenza e le nuove costruzioni, già qualche ecomostro e qualche scheletro del tutto incompleto faceva pensare alla precarietà dell’equilibrio tra tradizione e modernità, e al possibile lato oscuro della mancanza di un vincolo edilizio che, ad esempio, in Italia, conosciamo così bene quasi da non accorgerci di averlo acquisito. E negli ultimi anni gli effetti stridenti della modernità non si sono fatti attendere, nemmeno qui.

Ci sono cose, nella città che cresce così disordinatamente da strabordare, che fanno quasi sorridere. I cartelli di vendita di un terreno piantati così, in mezzo a una spianata di sabbia incrostata di sale. Case-che-saranno tra un palazzo e un altro, laddove il buco è riempito da macerie, un container, ricordi organici di asini e cani. Muratori all’opera alle 7 del mattino (ecco, no: questo non fa sorridere di sicuro i vicini), artigiani che regolano il taglio della pietra lavica per le strade, gruppi di bambini e ragazzi che sciamano fuori e dentro dalle scuole dell’obbligo a tutte le ore perché, se prima dovevano fare due turni – uno al mattino, uno al pomeriggio – in tempi di Covid possono stare a scuola in classi ridotte tre ore per gruppo, rivelando ancora di più, se è possibile, quanto è giovane la popolazione e quanto serva costruire ancora, magari includendo altre attività scolastiche ed extra.

Ci sono progetti, invece, che sono stati iniziati e che ora, in questo momento storico, sembrano uno di quei relitti che la pirateria ha affondato nell’Oceano qui intorno. Il più evidente è quella piazza di cui abbiamo scritto prima: oggi, al suo posto, c’è un enorme cantiere che è iniziato su tutta la superficie disponibile e di cui non si vede la fine. Uno spazio che manca a tutti, anche a chi ha visitato brevemente Boa Vista. E accanto alla piazza, la riqualificazione della strada vicino al porticciolo e altre piazzette già disegnate e depositate. E i materiali? Molti scelgono di inserire nelle nuove costruzioni la pietra e il legno, ma senza fattori comuni di denominazione. Il risultato è una frazione totale, che di perfezione matematica non ha nulla.


Ma le idee ci sono. Riguardano la Natura e la sua conservazione, una maggiore attenzione alla raccolta dei rifiuti, il restauro di qualche casa antica, ad opera dei singoli, che rimedia ad altre perdite, come la storica tonnara. Una ricerca delle pietre locali, come si vede ad esempio nel Museo dei Naufraghi. Piccoli segnali che possono ancora dare a Sal Rei un’esperienza di modernità positiva, con un occhio più attento alla tradizione. La sfida sta tutta nella continuità, nelle costruzioni e nelle intenzioni.

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